Il primo remake è La strada scarlatta (Scarlet Street, 1948), il cui soggetto è originariamente tratto dal romanzo La chienne di Georges de La Fouchardière, e dal dramma omonimo che il medesimo scrittore redige con la collaborazione di Mouèzy-Eon. Nel 1931 Jean Renoir ne ricava un buon adattamento cinematografico, sempre intitolato Le Chienne, con la valente interpretazione di Michel Simon.
Lubitsh avrebbe dovuto girare il remake per la Paramount, ma non venne mai a capo della storia, mentre lo sceneggiatore di Lang, il bravo Dudley Nichols, ebbe l'idea di spostare l'azione da Montmartre al quartiere degli artisti di New York, completamente riscostruito in studio. Questa Kitty del Greenwich Village deve fare i conti con il solito Hays e – da prostituta qual era nell'originale francese – diventa una simbolica gattina d'appartamento (42).
Sebbene anche Lang debba piegarsi ai dettami del cinema hollywoodiano, soprattutto ai limiti imposti dal codice Hays, egli non rinuncia affatto ai suoi simbolismi, e almeno in questo la sua poetica sembra sostanzialmente inalterata. Infatti, come in M, anche qui i nomi rivestono enorme importanza, rivelando la loro entità di chiavi interpretative: si pensi a Christopher, il cassiere «destinato a soffrire», o a Chriss Cross, letteralmente “segno della croce” in inglese, ma anche “reticolo”, “incrocio”, ecc., riproponendo così i giochi di parole tanto cari a Lang e che paiono abbondare per ogni eventuale nome citato. Nel film, tragico e comico si inseguono generando quello che Stefano Socci definisce come il clima «di un'Opera da tre soldi formato esportazione» (43). Già questa definizione ci induce a sospettare che vi sia qualcosa di cambiato nel modo di fare cinema di Lang, anche se forse tali cambiamenti si stratificano ad un livello quasi impercettibile. Eppure troviamo un filo rosso: anche in Scarlet Street ritorna il denaro, inteso come simbolo di abiezione.
- « INDIETRO
- 27/33
- CONTINUA »




