Accompagno Margit vicino al cannone per le prove, la lascio lì con gli assistenti mentre anch'io ripasso i numeri con gli altri clown.
Durante l'ultimo spettacolo mi avvicino alla rete di sicurezza. Margit cade dal cielo, rimbalza sugli applausi.
«Vieni, ti aiuto a scendere.»
Lei si fa aiutare, poi passa ancora una volta davanti al pubblico per un ultimo saluto. La lascio andare.
Più tardi nella roulotte trovo Margit già addormentata. Stringe al petto la foto che non so più dove nascondere. Lei, come guidata da un sesto senso, la ritrova sempre. Sarà che il cuore ha una memoria tutta sua che a differenza di quella del cervello non può essere mai cancellata. Sfilo delicatamente la foto dalla mano di Margit. È una delle tante foto che non ho il coraggio di guardare. Bacio la superficie lucida di un'immagine ormai fuori dal tempo, infilo la foto sotto una disordinata pila di libri, mi avvicino al letto, carezzo a lungo la guancia e i capelli di Margit per chiederle perdono delle tante menzogne.
Accendo la tivù, il telegiornale racconta problemi planetari dai quali mi sento esonerato, mi siedo davanti allo specchio, passo un panno umido sul viso, il trucco viene via a fasce regolari e questo mi concede un leggero sollievo. A colpi di straccio cancello totalmente il clown che sempre meno mi assomiglia.
È notte, esco fuori, accendo una sigaretta, scruto il cielo e immagino l'enorme parabola di Margit tra le stelle, seguo l'ultimo tratto immaginario della sua caduta e segretamente l'accolgo in un abbraccio.




