Proprio per l'accuratezza con cui Herzog rielabora il materiale origiale, qualcuno afferma che «Nosferatu è un documentario di finzione» (6). Del resto il significato del film sta tutto «nell'interesse culturale della sua bellezza»:
una bellezza che non possiamo capire se non in riferimento al discorso che essa stessa propone su di sé, in quanto riferimento ad un testo precedente e in quanto rifacimento, scelta, interpretazione di quel testo.
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In questo senso, Nosferatu, Principe della notte è anche un film nostalgico. Non è però un' “operazione” nostalgica o “reazionaria”, perché, nel ripercorrere la strada, Herzog la ricostruisce con nuovi materiali (7).
Questo spiega perché il film di Herzog è considerato l'unico vero remake del Nosferatu originale. Possiamo comprenderne i motivi anche grazie ad un interessante saggio di Lloyd Michaels, che mette in luce aspetti importanti del confronto tra le due pellicole (8).
Il primo elemento che accomuna i due film è costituito dal modo in cui i due registi rappresentano il conte, vale a dire come l'incarnazione di un complesso psichico, piuttosto che come il simbolo del male, almeno nel significato che è espresso nell'originale racconto di Stocker.
Il secondo elemento che Murnau ed Herzog condividono è l'entità puramente cinematografica del personaggio: Nosferatu compare spesso come ombra proiettata sul muro, e per questo rappresenta metaforicamente il cinema stesso. La modernità delle due pellicole deriva dunque da una certa auto-riflessività, che non è per niente riscontrabile in altre versioni dei film su Dracula.
In entrambi i film è fondamentale il contributo degli attori protagonisti. Schreck e Kinski riescono a infondere un senso di inafferrabilità: sviluppano una drammaturgia dell'assenza e, nonostante questo, riescono a comunicare quel senso di entropia che li domina, e che da loro si espande.




