Herzog ci tiene molto alla fedele ricostruzione del vampiro protagonista, poiché esso esprime senso più di quanto non faccia l'intera trama.
La metafora di Herzog non è più solo nel tema-vampiro, ma anche e soprattutto nella denuncia che Nosferatu
[…]
fa di sé come di qualcosa (un personaggio, una fantasia, un'idea del mondo) che esiste in funzione di qualcos'altro[…]
esistito già prima – e questo “prima”, abbiamo detto, risale all'anteguerra, alla Germania degli anni venti.
Il viaggio di Harker verso il castello del conte “non morto” (Nosferatu) è un viaggio alla ricerca di un anello di ricongiunzione (9).
Veniamo ora alle differenze tra i due film, e alla fedeltà apparentemente maniacale con cui Herzog riproduce il prototipo originale. Se parliamo di fedeltà maniacale è perché l'epigono di Murnau lavora fin nelle sfumature, come un modellista che si sforzi di riprodurre in scala le parti minute di un oggetto reale. Egli riprende ovviamente i costumi, il trucco, la struttura narrativa, ma pure la drammaturgia dei singoli attori e, addirittura, alcune angolazioni delle riprese. Nonostante tutto, basta l'aggiunta di pochi elementi nuovi ad incrinare qualunque proposito filologico: ci riferiamo ovviamente al dialogo e al colore.
[Tuttavia]
la nostra percezione non prova apprensione, proprio perché Herzog inventa e riproduce un materiale esistente, commistione di vecchio e di nuovo, dove il colore rigenera il bianco e nero, dove la parola è muta, quasi assente, dove la macchina si angola allo stesso modo per riscrivere un'opera già scritta. Forse è stato Borges a dirlo: il desiderio e l'ambizione sono quelli di un poeta che riscrive, senza copiarlo, il testo di un altro artista. E' ciò a cui assistiamo in questo film, dove Herzog riscrive Nosferatu senza che il modello rimanga estraneo a lui, conservandone il ricordo, ed elaborandolo interiormente, riproducendolo fedelmente (10).




