Herzog infatti ripete spesso che il suo intento è quello di riportare il film di Murnau a nuova vita, e il suo rifacimento mira a produrne una versione più adatta ai tempi moderni. Paradossalmente Herzog mal sopporta che si parli del suo film come di un remake, e preferisce invece la definizione di nuova versione. Non dimentichiamo che Herzog si autodefinisce «erede di Murnau» – se non addirittura reincarnazione – e la scelta di rifare Nosferatu, come abbiamo visto, si basa su solide motivazioni. La devozione di Herzog «verso il cinema muto» è chiaramente «provata nella fiducia che immagini di ermetica bellezza» siano in grado di «esprimere verità mistiche al di là del linguaggio». Ecco dunque che «l'allentamento del rapporto fra causa ed effetto, caratteristico del cinema d'arte, trova la sua apoteosi nella consacrazione di Herzog alla contemplazione rapita dell'immagine pura, senza tempo» (11).
«Il film non si preoccupa di svolgere una storia, nota e scontata, ma di costruire immagini, le stesse di Murnau, realtà sognate, sogni reali» (12).
Tutto questo fa scrivere a Lloyd Michaels che, a differenza degli adattamenti cinematografici di Fisher, Badham, Browning ecc., il Nosferatu di Herzog non ha giustamente nulla in comune con i Dracula patinati ben noti all'immaginario collettivo, ma duplica la figura sonnambula, emaciata, pelata, magistralmente interpretata per la prima volta da Max Screck, e poi ricalcata da Klaus Kinski, che riesce nell'intento di dar vita al fantasma di un fantasma (13).
Confermiamo, ancora una volta, di essere di fronte ad un remake dell'immagine piuttosto che della trama. Questo non ci sorprende se confrontiamo gli esiti del remake con le parole che Herzog scrive nel 1982:
Io rifiuto totalmente le storie
[…]
perché secondo me esse rivelano soltanto bugie, e la loro più grande bugia è che ostentano coerenza quando non ce n'è alcuna.




