Racconto breve

La voce dentro

di Antonio Agrestini

Che poi il pupazzo sembro io, giusto perché Felipe mi infila un braccio su per il retto di velluto e la sua mano diventa la muscolatura delle mie mandibole, guadagnandosi così la fama di grande ventriloquo. Ma questo è tutto ciò che sa fare quel pavido di Felipe. Sapete di chi sono le idee? I dialoghi? Ebbene, sono tutti miei! Senza di me è perduto. Per anni mi ha lasciato sulla poltrona del salone come un vecchio cuscino, in una casa immersa nella solitudine e nel silenzio: potevo sentire l’orologio della cucina scandire le ore, le gocce d'acqua cadere nel lavello. Il televisore, muto, faceva lampeggiare luci colorate sulla sua pelle. Io stavo lì, con gli occhi sempre aperti, a guardarlo andare alla deriva.

Sua madre, giusto pochi anni prima di morire, aveva frugato in soffitta, aveva riciclato materiali dimenticati: l’imbottitura esausta di un materasso, avanzi di feltro, vecchi jeans, le frange di un paralume per la mia verde capigliatura, la camicia appartenuta a Felipe bambino. Tra le varie cose anche un vecchio pupazzo da ventriloquo: lo usava per prendere le misure. Mi aveva disegnato e cucito in quelle giornate lente, in attesa del ritorno di Felipe dal lavoro. Quel vecchio pupazzo da ventriloquo l'avevo riconosciuto qualche tempo dopo su alcuni filmati in VHS che Felipe guardava a ripetizione: Zeb era la star del mobilificio Muebles Don Paco. Felipe lo faceva parlare in una vocina squillante: «Don Paco arreda… e tu sorridi!». Poi ammiccava alla telecamera e faceva l’occhiolino, come se davvero il segreto di una vita felice fossero due sedie e un divano scontati. A quei tempi Felipe e Zeb finivano perfino nei volantini del supermercato accanto alle offerte settimanali. Ne conserva ancora uno incorniciato in camera sua. Le signore lo fermavano per strada, gli chiedevano di far parlare Zeb con i nipotini.

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Questa è una storia di fantasia