A prima vista gli interpreti di Mattia Pascal, che sono Mosjukine per L'Herbier e Blanchar per Chenal, non presentano tratti fisionomici troppo diversi, cosa che invece risalta dal profondo contrasto tra i personaggi secondari dei due film. Ma in realtà è proprio Mattia Pascal a subire l'innovazione più profonda, proprio perché conquista una nuova dimensione, che è appunto quella acustica. Chenal dunque realizza un film abbastanza tradizionale, avvalendosi della trama originale a cui L'Herbier toglie le spine. Tuttavia non dobbiamo pensare che la sua “semplificazione” sia troppo banale.
Esattamente quarantotto anni dopo, nel 1985, in Italia viene prodotto il terzo remake de Il fu Mattia Pascal, diretto da Mario Monicelli e intitolato Le due vite di Mattia Pascal. Il film è destinato alla televisione.
Anche a distanza di molto tempo è difficile non condividere un giudizio contemporaneo all'uscita del film:
Se il Mattia Pascal di Pirandello era un microscopico Ulisse in viaggio entro i tortuosi labirinti dell'identità, quello di Monicelli (e Mastroianni) è poco più che un vitellone attardato e flâneur, alle prese con problemi di soldi, corna e documenti falsi. Che tristezza! (31)
Infatti Monicelli non fa altro che trasportare la trama pirandelliana nel vivo degli anni Ottanta. Dilata la prima parte del romanzo e impernia lo sviluppo dell'intera vicenda su un'ottica «economico-sessuale», fino a «trasformare Pirandello in una grottesca e involontaria parodia di ciò che un tempo era la commedia all'Italiana».
Il Mattia di Monicelli è una «vittima della burocrazia e della propria sventatezza». Non vive alcuna crisi esistenziale, né nutre «sentimenti di estraneità nei confronti del mondo e delle sue leggi» (32).
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