La modernità della trasposizione si esprime esclusivamente attraverso l'ambientazione, la messa in scena: Mattia e Romilda fanno l'amore in un “maggiolone” Wolkswagen; Malagna è il classico boss meridionale, che compra all'asta i beni di Pascal sotto il nome di una fantomatica società; e Adriano Meis, che prende il proprio nome da un camion di una società di trasporti e il cognome dell'insegna luminosa di un'agenzia funebre, viaggia su una Maserati e si tiene stretto a una ventiquattrore piena di banconote vinte a Montecarlo. Il tema del gioco è ricorrente. La cinepresa indugia a lungo sui tappeti verdi del casinò e delle bische clandestine, tanto per sottolineare – ancora una volta – l'ossessione del denaro che aleggia in tutta la seconda parte del film.
Il problema dell'identità si manifesta esclusivamente sotto il profilo burocratico ed economico, livellandosi sotto il massimo squallore, già quando Mattia straccia la patente di guida e getta i pezzi, insieme alla fede nuziale, in un cesso pubblico. Di lì l'incontro con una prostituta, un avvocato corrotto e un delinquente comune che, promettendo di procurargli documenti falsi, non risolveranno mai il suo problema, ma riusciranno soltanto a portargli via altro denaro.
Ora, confrontando i finali dei tre rifacimenti fin ora citati, possiamo scoprire e confermare le diversità più importanti tra gli intenti dei registi.
Nel film di L'Herbier il personaggio di Mattia riesce a riscattarsi: compare in pubblico durante il discorso inaugurale di Batta Malagna, eletto sindaco di Miragno. Mattia svergogna il neo-sindaco davanti a tutti legandolo alla sedia, e proponendo così una delle tante sequenze comiche presenti nel film. Subito dopo Mattia porta un fiore sulla propria tomba e poi se ne va per la sua strada, riconfermando il tono simbolico di tutta l'opera.
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- 20/29
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