Il Mattia di Pierre Chenal si ripiega invece su un lieto fine; infatti grazie all'aiuto di un gentile impiegato comunale Mattia può riconquistare la propria identità, quindi raggiungere Luisa (alias Adriana) e sposarla. Finale edulcorato, che però bene si riallaccia ad un film che «mescola commedia realista, satira, melodramma e farsa poetica» (33).
Il più arrabattato dei finali resta quello di Monicelli, dove l'impossibilità di Mattia di restaurare la propria identità, nonché il proprio ruolo di capofamiglia, viene sovraccaricata di spiegazioni burocratiche, economiche e legali: infatti il fratello di Mattia, per salvarsi da eventuali condanne, fa in modo che tutte le irregolarità risultino opera del fratello morto, o presunto tale. Dunque Mattia riacquistando la propria identità rischierebbe un arresto. In paese poi nessuno lo riconosce, o meglio, tutti fanno finta di non conoscerlo, eccetto il collega bibliotecario, al quale Mattia racconta tutta la storia.
Sommariamente abbiamo analizzato due versioni cinematografiche e una televisiva del medesimo soggetto. Tutte e tre le versioni ricalcano la lettera del romanzo, la vicenda esteriore, e finiscono per tradirne lo spirito. Questo ovviamente non è un difetto, perché ogni autore è liberissimo di scegliere l'approccio che più preferisce. E' difficile comprendere (tranne nel caso di L'Herbier) quale sia il rapporto tra ogni remake e il romanzo, o tra ogni remake e l'adattamento precedente. Tuttavia ci preme comprendere bene cosa determini tali esiti perché altrimenti, avendo introdotto questo capitolo con l'idea che il cinema europeo basi molte delle proprie creazioni sull'intimità degli autori, rischieremmo di contraddirci. In realtà, non essendovi in Europa un imponente sistema dei generi, il soggetto viene ripreso sempre in una forma personalissima, e questo per esempio giustifica la profonda differenza dei tre finali sopra descritti.
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