Cercherà, come Robinson, di fare ciò che, in quanto David Locke, di professione reporter, crede gli risulti possibile (34).
E' innegabile la saggezza di queste affermazioni, che però scaturiscono proprio dal proposito di spiegare in cosa il film di Antonioni si distingue dal romanzo di Pirandello.
Il soggetto di Professione reporter è scritto da Mark Peploe, e non sappiamo nulla sulle sue influenze. Antonioni, accettando la sceneggiatura, fa sua la storia, e in qualche modo attribuiamo a lui la responsabilità di eventuali parallelismi con il romanzo; ma ammettiamo pure che si tratti di una coincidenza, di una intuizione comune che rende molto simili, sotto certi aspetti, il film e il romanzo. Non discutiamo dunque l'esistenza di un riferimento volontario a Pirandello, ma sottolineiamo gli elementi che ne fanno presupporre una stretta parentela. Del resto, come abbiamo visto in 2.2, qualcuno scopre relazioni anche tra Wes Craven e Ingmar Bergman confrontando due film profondamente diversi.
Lo studio del remake ci invita frequentemente a questo tipo di confronti che, qualora si dovessero rivelare infondati, si mostrano ugualmente utili a comprendere aspetti importanti della pratica di rifare i film.
Torniamo, dopo l'imprescindibile premessa, a Mattia Pascal.
Giacomo Debenedetti, pur elencando tutte le qualità e l'importanza del romanzo pirandelliano, ne individua anche i limiti, i “difetti”, che sicuramente restano tali soprattutto per i lettori più moderni.
Innanzi tutto pare che Pirandello non riesca a porre correttamente i termini del problema esistenziale di Mattia Pascal; più precisamente Pirandello avverte «l'urgenza del problema», però non è «storicamente maturo a formularlo». Il vero problema di Mattia, secondo Debenedetti, è che egli dovrebbe «rimanere tra parentesi», e cioè «non rientrare in una società, rimasta fondamentalmente, strutturalmente uguale a quella donde egli» si è appena esiliato.
- « INDIETRO
- 23/29
- CONTINUA »




