Tuttavia la lettura demitizzante di John Sturges non svanisce nel nulla, anzi viene ereditata ed accentuata da un altro regista: Frank Perry, il quale nel 1971 realizza il terzo remake di Sfida infernale, il cui titolo, come a voler sottolineare un ennesimo spostamento del punto di vista, è Doc.
L’intento demitizzante si fa subito evidente: «le prime immagini danno il senso di quella Babele e porto di mare che doveva essere una qualsiasi città di frontiera, le strade perennemente mare di fango in inverno e inferno di polvere in estate» (28).
Ma la vera chiave di volta di tutto il film è nel finale, che viene ripulito da tutti i precedenti eccessi.
Una sparatoria breve, secca, i corpi che si afflosciano come le vacche al mattatoio e, nell’aria, il sapore non d’una sfida ma di una esecuzione. Non l’eccitante battaglia di Ford o di Sturges, l’acro sentore della giustizia che trionfa, bensì, meno eroicamente, la legge del più forte in uno scontro tra gente di «mezza tacca» (29)
Il western è giunto ad un profondo cambiamento, o più precisamente ad una crisi che finirà per estinguerlo. Ormai non è più necessario essere un John Ford, che orgogliosamente dichiara: «Mi chiamo John Ford e faccio western»; ora ogni regista sembra aver conquistato il diritto di inserirsi nel genere e lasciare la propria traccia.
Anche se il campo western si avverte subito che non è il campo di Perry, per una certa lentezza e discontinuità narrative, pure l’intento polemico e demistificante è raggiunto.
[…]
Non esistono gli eroi, sostiene Perry, il mondo è fatto di gente comune che si arrangia come può, scatenando, con la sua vanità, situazioni nelle quali, volente o nolente, resta presa al laccio: per uscire o si sacrifica o sacrifica (30).
I film nati dalla sparatoria all’O.K.
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