Corral non sono certo sufficienti a delineare tutte le sfumature della lenta evoluzione del filone, alla quale contribuiscono molti film, ma ogni remake costituisce indubbiamente il significativo punto di incrocio tra una linea diacronica e una sincronica, sulla quale influiscono altri film dall’eguale potenziale innovativo. Per esempio non si può ignorare un film come L’amante indiana (Broken Arrow, 1950) di Delmer Daves per evidenziare il salto ideologico tra la pessima considerazione dei pellerossa che, quasi improvvisamente, viene riveduta al punto di trasformarsi in una vera e propria rivincita storica e morale di un popolo troppe volte schiacciato dal nazionalismo americano. Film che a sua volta vanta significativamente dei rifacimenti: Kociss, l’eroe indiano (The Battle at the Apache Pass, 1952) di George Sherman e Il figlio di Cocisse (Taza, Son of Cochise, 1954) di Douglas Sirk, il quale addirittura si avvale della partecipazione di indiani veri e propri che, immersi nel loro habitat, realizzano i set delle riprese in esterni, nello Utah (31).
Non è un caso dunque che, ad un certo momento, nei film western comincino a scomparire gli indiani, non più antagonisti, lasciando il posto a «una serie di storie, di vendette, e di scontri tra cittadini onesti e banditi» che conservano del western soltanto l’ambientazione (32).
Questo significa che il film da cui siamo partiti, Sfida infernale, segna già da sé una tappa importante nell’evoluzione del western.
Ormai è chiaro il motivo che determina l’anacronismo di I nove di Dryfork City; di lì a poco, nel 1969, ci sarà il contemporaneo successo di Soldato Blu, di Ralph Nelson e Piccolo grande uomo, di Arthur Penn. Il western è già un’altra storia.
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