«I veri “noir” della storia del cinema sono quelli dalle storie lineari: un crimine, un investigatore (quasi sempre privato), un’indagine pericolosa» (35). Notiamo però che gli stessi elementi sono presenti anche negli altri remakes sopra citati, fatta eccezione forse per la versione di Dieterle, Satan Met a Lady. Questa versione è meno fedele allo spirito e alla lettera del romanzo di Hammet. Il falcone maltese è rimpiazzato da un corno tempestato di pietre preziose, un tempo appartenuto – secondo la leggenda – al paladino Orlando a Roncisvalle. Il protagonista non si chiama più Sam Spade ma Ted Shane. Inoltre nel film di Dieterle acquista maggiore rilievo la figura della protagonista rispetto a quella dell’investigatore privato (36). Dovremmo cominciare a credere che il film d’esordio di Huston abbia un ingrediente “segreto”, non affatto identificabile con il plot, il quale pare rientrare perfettamente nei canoni della «produzione corrente e corriva dell’industria hollywoodiana». Dobbiamo piuttosto concentrarci sulla capacità del regista di «infondere ai personaggi, alla storia e all’ambiente una sorta di mistero e di ambiguità, con risvolti addirittura angoscianti» determinando così «anche l’inizio di un profondo rinnovamento contenutistico e formale del cinema poliziesco» (37). Di qui la conferma che le qualità del film di Huston sono costituite principalmente dall’atmosfera, dall’aura che avvolge i personaggi, e che il noir debba essere considerato «più simile a uno stile e a una tendenza narrativa che a un genere vero e proprio» (38). Ma per comprendere meglio questa affermazione, conviene riallacciarsi ad un caso analogo di cui si occupa Stuart Kaminsky, che però attua un procedimento diverso, mettendo sullo stesso piano il racconto e i due film che ne scaturiscono, e giustificando tale metodologia con l’affermazione che il racconto e i film sono comunque prodotti per il piacere del pubblico.
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