Infatti il caso di Bonnie & Clyde è sicuramente il più esemplare; scelto più per le sue potenzialità legate alla coppia romantica che non per reali intenzioni di raccontare la vera vicenda, o il vero carattere dei protagonisti. Questo è confermato dal carattere allusivo della maggior parte delle versioni cinematografiche, che mai esplicitamente citano i nomi Bonnie e Clyde. Nel 1937 Fritz Lang propone la sua versione della storia con Sono innocente! (Only Live Once), con Henry Fonda e Sylvia Sidney, in cui il protagonista, un giovane ex-detenuto, viene accusato ingiustamente di omicidio, e fugge dal carcere la notte precedente all’esecuzione. Braccato dalla polizia, viene ucciso insieme alla moglie in un tragico finale.
Molte sequenze del film riflettono il disagio provato da Lang nei confronti della società americana, proprio nel periodo in cui egli sta partecipando alla creazione di una Lega Antinazista.
Nel 1949 Nicholas Ray realizza La donna del bandito (They Live By Night), con Farley Granger e Cathy O’Donnel, in cui la trama si rivela molto adatta anche al giallo. Ray «predilige il tema del sesso, anche se gli interessa più dal punto di vista della speranza che può infondere nei diseredati che da quello dell’analisi di psicologie distorte», e questo «non ci stupisce, data l’ingenuità con cui il regista descrive la coppia», pur non potendo negare che «i Keechie e Bowie di Ray, sconfitti e perseguitati, destano simpatia e compassione» (45).
Un film come La donna del bandito
[…]
mostra sì gli errori e la nemesi di un giovane delinquente, ma gli episodi violenti sono oggetto di ellissi, i riferimenti troppo precisi ai luoghi e all’epoca (la Depressione) sono cancellati, la storia d’amore è portata in primo piano.
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