Il film afferma che «è meglio vivere rapidamente, morire giovani, e lasciare una buona immagine di sé» piuttosto che uniformarsi ad un mondo stupidamente ordinato. Se ad un certo momento Bonnie e Clyde devono morire non è perché questo sia indispensabile alla storia, ma perché «la morte ha lo scopo di salvarli dall’età adulta, dalla domesticità, dalla middle class», dunque da destini considerati addirittura peggiori della morte (52).
Il film di Penn è il primo del suo genere a non utilizzare la morte come deterrente dell’immedesimazione del pubblico. La famosa sparatoria finale è cruenta al punto di “santificare” i criminali, e di renderne odiosi i carnefici. Per questo la morte di Bonnie & Clyde diventa romantica quasi come quella di Romeo e Giulietta.
Abbiamo visto dunque che pur restando nel filone del gangster movie, le varie versioni di Bonnie e Clyde riescono ad assumere diverse sfumature, che rispecchiano le eterogenee poetiche degli autori. Ma ad essere privilegiata, quasi sempre, è la potenzialità romantica della coppia criminale: nessuno vi rinuncia, e Penn la estremizza, al punto di infrangere i limiti fino all’ora conosciuti.
Ancora una volta abbiamo notato l’invariabilità di un plot che si pone come struttura portante della variabilità dei personaggi.
Il motivo di questa tendenza è chiaramente spiegato da Stuart M. Kaminsky:
Nel genere
[gangsterico]
il pubblico non ha un ruolo marginale. In questi film lo spettatore assiste all’elaborazione di un mito, a un processo che può essere ripetuto con infinite varianti, che dipendono dal contesto sociale e politico dell’epoca o del luogo. Il mito non parla delle conseguenze dei crimini sulla gente reale. Si occupa del personaggio del gangster e delle caratteristiche, in lui e nella nostra società, con le quali ci identifichiamo o verso le quali abbiamo una reazione di rifiuto. (53)
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