E il senso e lo sforzo e i difetti del film sono anzitutto qui, in questo irriducibile disagio provocato dall’accostamento di due mondi antitetici: quello fisico e quello fantastico (57).
Il disagio espresso nell’articolo è indirettamente rivolto al musical in generale, se quella che si condanna è l’iperbole della finzione, la quale costituisce forse la nota dominante di tutto il genere.
Quasi quarant’anni dopo le cose non sono molto cambiate. Stavolta, cioè nel 1979, è Sidney Lumet a riportare la storia del Mago di Oz sul grande schermo: si intitola The Wiz.
Ormai il musical va a braccetto con l’industria discografica: tra i protagonisti spiccano Diana Ross, nei panni di una improbabile ragazzina, e Michael Jackson nel ruolo di spaventapasseri.
Il film arriva in Italia con sei anni di ritardo, con il titolo modificato in I’m magic e ampiamente mutilato di oltre quaranta minuti. Si tratta comunque di una mutilazione indolore, che rientra a pieno nelle mire dei produttori del film, che sono la Universal e la Motown, casa discografica di Diana Ross.
Ecco perciò che il remake di Lumet si pone a metà strada tra le reminescenze del musical vecchia maniera e le spudorate esigenze di promozione del videoclip. Il film viene significativamente distribuito in Italia proprio quando il successo dello “spavantepasseri” Michael Jackson pare aver raggiunto il suo apice; e sarà proprio lui infatti, pochi anni dopo, il protagonista di un ulteriore tentativo di allentare i confini tra cinema e videoclip con Thriller, diretto nei primi anni Ottanta da John Landis.
Tornando all’Oz del 1979, notiamo che anche stavolta si verifica lo iato sproporzionato tra realtà e finzione, giacché Lumet ambienta tutta la vicenda nella New York dei suoi film precedenti e «la fusione tra “il realismo” degli esterni e “l’immaginario” della favola, […]
non si concretizza mai» (58).
- « INDIETRO
- 33/63
- CONTINUA »




