Ma a qualcuno non piace questa rilettura, e le prime accuse rivolte al film di Kaufman riguardano proprio l’assenza dei contenuti socio-politici che sono invece ben evidenti nel film precedente. Così si difende il regista:
Cosa voleva dire l’originale? Era anti-comunista? Era anti-anti-comunista? Non saprei rispondere.
[…]
Naturalmente queste implicazioni politiche non possono essere applicate al nostro film… Io sento che la paranoia o la paura sono cose davvero importanti. Non credo che questo film sarebbe stato degno di un remake durante la guerra del Vietnam, perché a quei tempi c’era una forte consapevolezza di dove fossimo. Le paure chinano la testa a tutti – soprattutto ai giovani – portando un senso di mortalità… Credo che in questi ultimi anni abbiamo perso il senso della mortalità.[…]
Mi sembra… che questo sia un periodo perfetto per rilanciare il messaggio di Body Snatchers… Noi stavamo tutti dormendo durante gli anni Cinquanta[…]
Forse ci svegliammo un po’ durante gli anni Sessanta, ma ora siamo tornati a dormire (70).
Le parole di Kaufman ci ricordano che un soggetto cinematografico non esaurisce le proprie potenzialità nella sola versione originale, ma può rivivere a distanza di anni rivelandosi ancora efficace, pur sotto una diversa prospettiva. Ciò può essere confermato dalla scoperta che la storia degli ultracorpi è forse addirittura precedente al racconto di Jack Finney. Alcuni racconti di Philip K. Dick (1928-1982), e precisamente Human Is (1952), Impostor (1953), The Father-Thing (1953), possono essere letti come primogeniture degli ultracorpi. Ma addirittura il Re Lear shakespeariano ci pone di fronte ad un padre ed i propri figli che non si riconoscono più vicendevolmente: «bisogna tener conto che Shakespeare, senza dircelo, deve aver ipotizzato l’arrivo di un qualche ultracorpo (“Our darkest pourpose”)» (71).
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