Tutta questa imperdonabilmente lunga premessa per dire che il nucleo di Body Snachters è più vecchio e solido di qualunque maccartismo. E che è lo stesso anche oggi che non esistono più i blocchi (Freud le chiamava resistenze), i telefoni rossi e gli scudi stellari, anche oggi che l’alibi del comunismo non serve più a coprire l’angoscia. Ecco perché si può fare ancora L’invasione degli ultracorpi: perché il nocciolo d’ansie è rimasto più o meno intatto, perché il soggetto è sempre bello, gli effetti speciali nel frattempo hanno fatto passi da gigante e perché la domanda più o meno è rimasta la stessa: «Le pecore sono tutte elettriche? Rachel è una donna o un replicante? E io, sono io umano?» (72).
Ed infatti la storia viene riportata al cinema per la terza volta da Abel Ferrara nel 1993 ma, per inspiegabili motivi taciuti dalla produzione, il suo film viene proiettato in pochissime sale e in alcuni Paesi esce solo in video-cassetta. Eppure Ultracorpi – L’invasione continua (Body Snatchers) «è il suo film più costoso di sempre (venti milioni di dollari) ed è in concorso a Cannes nel 1993» (73). Il produttore è Robert H. Solo, lo stesso del film di Kaufman.
Il remake di Ferrara «è stato letto come “primo film dopo la guerra del golfo”», forse con troppa generosità, perché «di quello che ha rappresentato la guerra del golfo, la prima a essere combattuta in e per la televisione, non c’è traccia» (74). Ma le interpretazioni ormai si sprecano; pare addirittura che Ferrara abbia dichiarato alla stampa francese che il film sarebbe una metafora dell’AIDS. Mentre il mediocre interprete del film, Terry Kinney, ne parla come metafora degli effetti della drogal (75).
A questo punto è fin troppo facile, forse banale, parlare del film di Ferrara come film-clone, film-bozzolo, ormai privo di emozioni o, più correttamente, non più in grado di far provare emozioni né di rappresentare una ben precisa metafora.
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