Corpi e ultracorpi potrebbero essere le pellicole e i rispettivi remakes e nel film di Kaufman la soluzione a una imbarazzante doppia identità è data proprio dall’annullamento delle prime. Una vampirizzazione metaforica che trasferisce la vita a un organismo più recente, anche se non è detto che le qualità dell’uno – mescolandosi il plasma ai veleni di un’entità estranea – confluiscano armoniosamente nell’involuzione dell’altro (76).
Abbiamo comunque la conferma che il film, soprattutto il suo plot, si presta facilmente alle più svariate interpretazioni, candidandosi anche a future riletture. Insomma, il racconto di Jack Finney «conferma di essere una metafora in cui ogni epoca può proiettare le proprie paure» (77).
C’è da dire che l’unica vera novità del film di Ferrara è costituita dall’ambientazione della storia in una base militare, quando l’invasione è già iniziata da tempo. Tale ambientazione fa da supporto all’idea illuminante del soggettista Larry Cohen, che popola la scena di soldati, con l’intento di rendere difficile «distinguere un soldato sostituito (body-snatched) da un soldato semplicemente obbediente» (78). Un modo per scoprirlo c’è, come nei film precedenti, e consiste nel mettere alla prova un soggetto provocandogli emozioni.
Tuttavia, soprattutto nell’ambito della fantascienza, non bisogna dimenticare che le innovazioni tecnologiche investono spesso nuovi campi semantici in grado di provocare emozioni sicuramente diverse dal prototipo. Con Kaufman assistiamo a una «trasfusione del colore in un corpo in bianco e nero», ed è innegabile l’importanza del colore sugli intenti di verosimiglianza: «il prototipo-Siegel si arricchisce di effetti speciali che rendono realistici il seme mostruoso, la sua fioritura e l’uscita dal feto, per cui è possibile mostrare la sorte dell’originale qualora il doppio, il sosia, sia ormai un prodotto finito» (79).
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