1.1.1 La fine del western a colpi di remakes.
Tra i generi autoctoni del cinema americano, il western occupa per lungo tempo una posizione preminente. Inizia a guadagnare prestigio intorno agli anni ’20, grazie al film Pionieri (The Covered Wagon, 1923) di James Cruze, cui seguono i fondamentali contributi di John Ford, come Il cavallo d’acciaio (The Iron Horse, 1924), I tre furfanti (Three Bad Men, 1926), e, a distanza di alcuni anni, il più noto tra tutti: Ombre rosse (Stagecoach, 1939), che, insieme al suo autore, si incastona per sempre nella storia del genere.
Il filone western, che potremmo definire una variante del film «storico» americano e, allo stesso tempo, la quinta essenza di un certo spirito nazionalista che si vuol far risalire all’epoca dei pionieri, è la migliore dimostrazione di come lo strumento cinematografico sia stato capace di imprimere, nell’immaginario di tutto il mondo, una versione addomesticata di un avvenimento storico. Ci riferiamo, in particolare, alla «questione indiana» che il cinema americano ha rappresentato fino agli Anni Sessanta come un’«epopea», una gloriosa «conquista», una palestra di libertà e di affermazione individuale e collettiva dei valori più autentici di una giovane nazione in ascesa (11).
Ombre rosse, prototipo del western classico, si situa proprio in questo contesto. È un catalogo dei tòpoi e dei personaggi fondamentali del genere: la diligenza, lo sceriffo, la prostituta, il medico alcolizzato, il rappresentante di whisky, la moglie di un ufficiale, il giocatore d’azzardo, il banchiere, il fuorilegge e, naturalmente, una sanguinosa orda di Apaches le cui frecce tagliano lo schermo e si piantano sulla diligenza. Neanche a dirlo, gli eroi sono i bianchi, che con l’aiuto della cavalleria hanno la meglio sui “selvaggi” proprio all’ultimo momento.




