A cena con Virginia

Racconto brevedi Antonio Agrestini

La pregherei gentilmente di fornire una carta reale o, se preferisce, denaro contante.»

«Ma gliel'ha appena data lei!»

«Lei chi, signore?»

«Ho capito» ho detto spazientito. Ho tirato fuori la carta dal mio portafogli e l'ho consegnata al cameriere.

«Mi spiace Virginia, qui non ci torniamo più.»

«Lascia stare» ha detto lei accarezzando il dorso della mia mano. I suoi capelli erano di nuovo biondi. All'uscita i camerieri ci hanno augurato una buona serata, ho risposto borbottando un buonanotte. Sono rientrato subito dopo e con un tono un po' seccato ho detto: «Il cappotto della signora.»

«Ah, giusto! Ci scusi signore. Ecco a lei» ha detto il guardarobiere fingendo di restituirmi il cappotto.

«Buonanotte.»

«Buonanotte signore.»

Fuori dal ristorante c'era una notte fredda che non lasciava spazio all'immaginazione. Quando ho raggiunto l'auto nel parcheggio, di Virginia non riuscivo più a immaginare nemmeno il sorriso, né il colore dei capelli, così ho lasciato che anche il suo cappotto si dissolvesse nel nulla. Ho sentito una specie di singhiozzo, mi sono voltato verso la siepe del parcheggio, ho riconosciuto la donna che era entrata nel locale, stava seduta su una panchina, stava piangendo. Mi sono avvicinato. Sul cartello riverso a terra c'era scritto: "La morte è reale".

«Signora, serve aiuto?» ho domandato.

La donna mi ha guardato, come se non aspettasse altra domanda ha detto: «Mio figlio lavorava per loro, doveva pedalare come un pazzo per consegnare in orario, perché questi patiti di cibi immaginari sono pignoli, intolleranti, fanatici, e se giudicano eccessivo il ritardo della consegna, reclamano perché la pietanza gli arriva fredda, si rende conto? E allora mio figlio per paura di perdere il posto pedalava come un disgraziato, passava veloce ai semafori, era sempre più distratto, finché un camion l'ha ficcato sotto. Un camion vero, capisce?

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Questa è una storia di fantasia