Racconto breve

Celeste

di Antonio Agrestini

Davanti a quegli strumenti eravamo due piloti inesperti e incapaci di impedire che l'aereo si schiantasse al suolo. O forse, a giudicare dalla pressione che avvertivo intorno, eravamo in un sottomarino compresso da tonnellate d'acqua, perso negli abissi e quasi sul punto di essere schiacciato. I bip sempre più radi della frequenza cardiaca echeggiavano sulle maioliche della stanza come un sonar che rivelava la presenza di entità nemiche e minacciose. Sapevo solo che tutto era diverso dai giorni precedenti. Il cuore batteva pochi colpi irregolari e stanchi, una palla di cui potevi prevedere gli ultimi rimbalzi. La saturazione dell'ossigeno era al minimo. Volevamo che qualcuno ci tirasse la verità in faccia, come fanno con le torte nei film comici, una torta guasta e disgustosa ovviamente. Qualcuno doveva dirci esplicitamente che non c'era più nulla da fare, che Celeste era morta, che tutto era finito per sempre, invece i medici si ostinavano a usare incomprensibili giri di parole.

«Cortesemente uscite» ci disse uno di loro, «dobbiamo provare a stabilizzarla.»

Fui costretto a usare la forza per tirare fuori Elena, ribelle come un animale da macello cosciente del proprio destino.

«Che significa? Che significa che devono stabilizzarla?»

Gridava in modo ossessivo Elena, sembrava curvata dai colpi di frustate e bastonate invisibili, si scioglieva nelle lacrime e si stringeva le tempie nel tremore delle mani.

«Stai tranquilla, stanno facendo tutto quello che ritengono opportuno. Devi solo stare tranquilla.»

Tenevo la testa di Elena tra le braccia: «Guarda, guarda tutti questi bambini» le sussurravo indicandole la parete con le foto dei bambini salvati, «presto dovranno fare spazio anche alla foto di Celeste!»

Mentivo anche a me stesso, altrimenti non ce l'avrei fatta a restare in piedi e a difenderla dall'onda che ci stava investendo.

 

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