Così, quando tutti si congedarono, fu faticoso restare a galla, trovare il senso di quel mare che ci circondava senza offrirci alcuna sponda verso la quale nuotare. Una volta spenta la luce, il nostro letto era la zattera con cui dovevamo affrontare un oceano di petrolio, appiattito da una nera bonaccia.
«Me l'hanno ammazzata... me l'hanno ammazzata...» ripeteva Elena con la cadenza trascinata di una litania. Continuò per ore, con il fisico tormentato da una febbre fredda. Poi accese la luce e scuotendo il mio braccio implorò: «Domani andiamo dai Carabinieri, promettimi che mi porti dai Carabinieri. Voglio denunciarli quei medici bastardi, devono andare tutti in galera! Tutti quei maledetti.»
Ero troppo devastato dal dolore per riuscire a curarmi anche del suo. Così, pur non condividendo l'idea di presentare denuncia contro l'ospedale, le promisi che l'avrei accompagnata. È forse proprio in quel momento che si spezzò la nostra unione. Per sempre.
«Me l'hanno ammazzata... me l'hanno ammazzata...» ripeteva Elena, stringendo forse fra le dita un immaginario rosario di proiettili che, uno a uno, ci colpirono finché la luce dell'alba non si rovesciò fredda nel nostro oceano per richiamarci, nonostante tutto, alla vita.
I costi di gestione di una morte, per quanto insignificanti rispetto al dolore, sono materialmente e sorprendentemente molto elevati. Il destino aveva sostituito i cataloghi da sfogliare: non più quelli, consultati solo pochi mesi prima, di carrozzine, culle e lettini, ma altri di una varietà impensabile di piccole bare bianche presentate come auto di lusso. La gentilezza dei titolari delle agenzie funebri, a volte forse troppo abituati alla morte, stona con la merce che vendono e questo contribuiva a rafforzare la sensazione che tutto fosse irreale.




