Non volle più frequentarli né sentirli nominare. Non potevo darle completamente torto. Io stesso, tempo dopo, avrei faticato molto a riannodare i fili dell'antica amicizia di Marcello.
Gli ospiti lasciarono casa, buttai il resto della torta nella spazzatura, insieme alle candeline, ai tanti auguri a te, ai miei anni peggiori.
Quasi tutte le amiche di Elena si erano dileguate dopo la loro ultima comparsata al funerale di Celeste. Probabilmente per imbarazzo, o forse perché temevano che il lutto fosse in qualche modo contagioso, nessuna di loro venne più a trovarla. Nemmeno una telefonata. Così Elena si rifugiò nella tana delle amicizie virtuali di Internet; tra forum, chat e social network trascorreva giornate intere davanti al computer, isolandosi sempre di più dalla quotidianità. Conobbe altre donne che come lei avevano perso un figlio, chi durante la gravidanza, chi poco dopo. A volte la sera, prima di abbandonarsi al sonno, rivelava un'insolita dolcezza e mi raccontava storie terribili di neonati e bambini morti prematuramente, fornendomi forse l'unica occasione di ascoltare il suo dolore più sincero. Ma questo non lo intuivo, anzi ascoltavo contrariato i suoi racconti perché ritenevo che avrebbe dovuto invece distrarsi, guardare avanti, pensare ad altro. Provando a cambiare discorso, la trasformavo nella solita Elena irascibile e feroce. Ripeteva che nemmeno io volevo starla più ad ascoltare. Forse aveva ragione.
Con molta insistenza convinsi Elena a farsi aiutare da una psicologa, ma lei, con le scuse più varie, disertò quasi tutti gli appuntamenti, preferì invece rivolgersi ad un gruppo di auto-mutuo aiuto, conosciuto sempre su Internet. Ogni due settimane ci sedevano in circolo con altri genitori sventurati, un po' come capita di vedere nei film con gli ex alcolisti.




