La sensazione fu quella di avere trovato il quartiere della propria nazione in un paese straniero, dove tutti parlano finalmente la tua stessa lingua, conoscono gli stessi amari sapori e gli stessi cupi colori della tua terra. Era destino comune quello di ritrovarsi abbandonati a se stessi nel gestire un lutto così duro e inaspettato. Elena sosteneva di trovare beneficio da quegli incontri, mentre in me cresceva un sensibile disagio. Stimavo anch'io i membri del gruppo, con molti di loro avevo rapidamente fondato i presupposti di una buona amicizia, ma avvertivo l'esigenza di andare avanti e pensare alla base di una vita nuova. Non intendevo con ciò dimenticare Celeste, ma anzi, procedere dal suo ricordo. Sarà che i racconti di molti di loro mi precipitavano in ansie che non mi avevano precedentemente sfiorato. Ero diventato permeabile al dolore di tutti. Le loro frasi mi riecheggiavano in testa per l'intera settimana e ci stavo male. Immaginavo la vita di molte coppie che avevo conosciuto; di quelle che non potevano più tentare di avere altri figli; di quelle che avevano scoperto gravi malattie del feto e avevano scelto la dura strada dell'aborto terapeutico; di quelle che invece avevano avuto un altro figlio, ma si svegliavano puntualmente, tutte le notti, per assicurarsi che il bambino respirasse ancora; di quelle che tentavano di avere un figlio dopo ripetuti aborti e vivevano ormai il sesso come una fabbrica di morte.
Nei fine settimana in cui non c'erano gli incontri con in gruppo, Elena desiderava incontrare altre amiche conosciute su Internet, così spesso ci spostavamo da una città all'altra, da una regione all'altra, pernottando quando necessario in hotel fino alla domenica. L'alternativa a tutto questo consisteva nel trascorrere il fine settimana nei centri commerciali, dove Elena venerava i reparti di abbigliamento o di calzature.




